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Parrocchia San Pancrazio
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Una pace serena è nell’aria di questo chiuso giardino, angolo suggestivo e tranquillo, che placa lo spirito e lo dispone alla preghiera. Imponente, nella sua veste settecentesca, è l’interna forma basilicale, vastissime sono le tre navate divise da larghi pilastri, che nel restauro del cardinale de Torres presero il posto delle antiche colonne. Le grandiose composizioni prospettiche, riproducenti colonnati e gallerie, dipinte sulle pareti delle navate minori, accrescono con la loro illusoria architettura l’ampiezza e l’ariosità dell’ambiente, che a eccezione di alcuni particolari, sembra quasi possedere, grazie alla teoria degli archi, alle linee semplici e alla gravita solenne dei pilastri, un’impronta cinquecentesca, accentuata dall’assenza dell’oro e del colore.
Nel centro di ogni pilastro, paraste con capitelli compositi sostengono una cornice, su cui poggiano gruppi di putti che, graziosamente atteggiati, sostengono festoni di quercia. Ulteriori festoni, retti da mensole con testine di angeli, adornano gli archi. L’indovinata tinteggiatura del fondo delle pareti, di un tenue avana, conferisce maggior risalto a queste ornamentazioni in stucco. Una luce diffusa penetra attraverso le finestre delle navate minori, accentuando la chiara intonazione generale, su cui spicca enormemente il cupo soffitto a lacunari di legno intagliato, anch’esso privo di pitture e dorature. Al centro è raffigurato in rilievo San Pancrazio e, lateralmente, sono gli stemmi del cardinale restauratore. Negli altri riquadri si alternano le spade del martirio intrecciate alle palme, angeli e motivi ornamentali. I Cosmati, i celebri artisti romani del XIII secolo, avevano costruito il pavimento, di cui non rimane alcuna traccia, la decorazione dell’altare maggiore e gli amboni commessi dall’abate Ugone.
Ma il più prezioso ornamento sono le quattro colonne di porfido con capitelli corinzi che sostengono il tabernacolo. Queste colonne, per il loro ingente valore, furono trafugate due volte durante i saccheggi subiti dalla basilica; l’ultima volta nel 1814 sono state restituite per interessamento del Canova. Il baldacchino di marmo fu però irrimediabilmente perduto e sostituito con l’attuale, eseguito su disegni dell’antico. Le navate laterali terminano con due cappelle. Nella cappella della navata di sinistra si conserva il fonte battesimale, proveniente dall’estinta parrocchia di San Gelso e Giuliano, dove fu battezzato Eugenio Pacelli, poi Sommo Pontefice Pio XII. Sull’altare vi è un’enorme tela di Jacopo Palma il Giovane (1544-1628), raffigurante Santa Teresa trafitta dall’angelo. In questa pregevole opera, appartenente all’ultimo periodo del Palma, l’artista veneto seguace del Tintoretto, memore delle fantastiche creazioni del Robusti, compone una scena piena di dinamismo, con magnifica fusione di colori e di chiaroscuri. Le tre porte barocche della facciata occidentale e le finestre poste al di sopra, sono attribuibili ai restauri iniziati dal cardinale Ludovico de Torres.
Dietro alla chiesa l’abside sporge dal muro occidentale. I muri della navata centrale attualmente si alzano soltanto per un breve tratto sopra i tetti delle navate laterali. Tuttavia, guardando a nord del piano superiore del monastero, si può vedere che il finestrato superiore risale a due diverse campagne edilizie: la prima paleocristiana, per i tratti presso la facciata, la seconda con caratteri chiaramente romanici, riguarda, come vedremo, la zona che fiancheggia il presbiterio. All’interno un’arcata trasversale divide la chiesa in due parti ineguali. La parte orientale occupa circa tre quarti dell’area totale e comprende una navata centrale, riccamente adorna di stucchi del XVII secolo, e un soffitto di legno scolpito con lo stemma dei cardinali de Torres, fiancheggiata da navate laterali, più semplici e basse. Cinque pilastri rettangolari, su ciascun lato, separano la navata centrale da quelle laterali. I dieci pilastri sostengono archi ribassati; un arco trionfale separa la navata centrale dalla parte occidentale della chiesa, dove si trova il presbiterio, che è un poco più stretto della navata centrale ed è rialzato di due gradini (m 0,30) rispetto ad essa. Lo stemma dei Carmelitani decora il soffitto del presbiterio, mentre affreschi con raffigurazioni di santi e angeli, di Antonio Tempesta, adornano la parte superiore delle mura. Vani laterali rettangolari fiancheggiano il presbiterio, dal quale sono separati mediante triplici arcate con colonne corinzie, poste su bassi muri, ami ,03 sopra il livello pavimentale della navata centrale e delle navate laterali, per mezzo di arcate poste allo stesso piano dell’arco trionfale. I vani sono decorati all’interno da moderne pitture su tela inchiodate ai muri. L’abside, insieme al presbiterio, fu già adorna di affreschi del XVII secolo, che furono sostituiti nel 1959 da una moderna composizione di scarso valore artistico.
Le navate laterali, che erano state precedentemente murate, furono riaperte dal cardinale Ludovico de Torres; i dieci pilastri, costruiti per rimpiazzare i precedenti colonnati, compaiono sul rilievo del Rinaldi del 1633. Lo stemma di Paolo V, che corona l’apertura dell’abside, indica il cardinalato di Ludovico, mentre le armi dei de Torres, sulle mura laterali del presbiterio, potrebbero essere sia sue, sia del fratello Cosmo. D’altra parte le decorazioni a stucco della navata centrale e l’affresco, che abbelliva la volta absidale fino alla sua scomparsa nel 1959, furono eseguiti dopo il 1622, l’anno in cui Alessandro VII affidò la chiesa all’ordine dei Carmelitani; lo stemma di Alessandro VII coronava l’arco trionfale e la data 1673 si leggeva sui pilastri all’inizio dell’abside prima del 1959. Il catino fu fatto decorare dal cardinale Vidoni, nel 1673 da un anonimo artista che vi dipinse putti, cariatidi e fogliame d’acanto. Attualmente queste pitture sono state sostituite da un affresco rappresentante Cristo Re circondato da San Pancrazio e da altri santi, eseguito nel 1959 da Luigi Ciotti. Quando Ugonio tracciò le sue note prima del 1588, erano in uso soltanto la navata centrale e il presbiterio. La navata laterale sud e la cappella formavano un cortile scoperto raggiungibile dal presbiterio, mentre la navata centrale con quella laterale nord rimanevano incorporate nel monastero adiacente. Dietro il muro che separava la navata centrale del cortile sud, un certo numero di colonne era ancora visibile e Ugonio annotò anche resti di pavimentazioni: marmorea presso l’ingresso e in opus vermiculatum all’estremità opposta della navata centrale. Egli trovò, inoltre, nella navata centrale, due pulpiti cosmateschi, noti attraverso i disegni di G. de Sanctis e di cui rimangono solo frammenti: uno recava un’iscrizione che menzionava la costruzione avvenuta nel 1244 mentre l’altro si fa risalire al 1249. Ugonio annotò un altare in mezzo alla chiesa, coperto da un ciborio marmoreo poggiante su quattro colonne di porfido, due lisce e due scanalate. Alcuni frammenti di arco gotico, ora attaccati a uno dei pilastri della navata centrale, possono pervenire dalla parte superiore del ciborio, ma i fusti di porfido sono scomparsi, probabilmente nei saccheggi del 1798; dietro l’altare Ugonio annotò un tramezzo murario, di modesta altezza disposto di traverso rispetto alla navata centrale, con incrostazioni di piastre marmoree di porfido, mosaici vari di diversi colori e d’oro.
Passata la porta del tramezzo, Ugonio proseguì nel presbiterio, nella parte occidentale della chiesa, dove vide altari su ciascun lato e, nel mezzo, l’altare maggiore con la sua fenestrella confessionis: era rialzato di cinque gradini e riparato sotto un altro ciborio con quattro colonne di porfido, forse le stesse riutilizzate quando il de Torres fece costruire il baldacchino. Una cattedra episcopale stava nel centro dell’abside e ai due lati si trovavano bassi sedili a mattoni, ancora visibili in uno dei disegni del de Sanctis. Entrando nella navata laterale sud, Ugonio trovò l’entrata della cripta semianulare sul suo lato destro, dove ancora si trova. La cripta era ricoperta di lastre marmoree, alcune anche con epitaffi, tra cui uno proveniente dalla tomba di uno spaiano, che aveva combattuto per Belisario nell’assedio dei Goti. L’abate vide altri epitaffi in vari punti della chiesa, tra cui due lunghi poemi commemorativi, uno, probabilmente del II secolo, ricordante una giovane di nome Teodora, l’altro laudativo di un dux Crescentius, forse un membro di tale potente famiglia. La cripta è uno dei pochi elementi, spiccatamente non paleocristiani, esistenti all’interno della chiesa; un corridoio curvo, alto m 2,50 e largo m 1,80, segue la base del muro dell’abside; al suo vertice si dirama un passaggio centrale secondo la corda dell’abside e conduce al reliquiario direttamente sotto l’altare maggiore. Alcune delle lastre marmoree notate da Ugonio sono ancora presenti, anche se non nella posizione originale.
Un piccolo pannello d’intonaco, rimosso nel 1938 all’interno del muro curvo, proprio nel punto di fronte alla porta che conduce alla cripta, mise a nudo l’opus listatum, composto di corsi alternati di mattoni e tufo (questi ultimi talora doppi). Un muro di opus listatum è presente anche sotto il livello pavimentale della navata centrale, sul lato che conduce giù alla catacomba, sotto la navata laterale nord. Gli ulteriori elementi paleocristiani visibili all’interno sono le arcate che separano il presbiterio dai vani laterali. Sfortunatamente il pesante rivestimento d’intonaco rende oggi impossibile stabilire lo stile delle mura, su cui poggiano dette arcate. All’esterno le vestigia dell’edificio paleocristiano sono più evidenti. Il muro sud della navata laterale, sia pur ricoperto in gran parte da intonaco, presenta un opus listatum dello stesso modulo di quello notato nella cripta. Un alto tratto di muro simile è stato trovato presso l’estremità orientale della parte nord della navata centrale, alla destra del frontone del XV secolo. Esso si stende dietro l’angolo della facciata per quasi cinque metri, per poi essere sostituito da una muratura di periodo più tardo. II muro nord sopraelevato della navata centrale è evidentemente romanico, essendo costruito con mattoni disposti in corsi orizzontali con spessi strati di malta, con una frequenza di dodici corsi per mezzo metro. La lavorazione della malta romanica, a falsa cortina, si trova anche negli archi della finestra. Cinque finestre sono visibili nel tratto fra il frammento di opus listatum e il muro trasversale in linea con l’arco trionfale. Due di esse sono larghe soltanto m 0,60 e alte m 1,95; mentre le tre più larghe misurano m 0,90 e sono alte m 2. L’estremità occidentale del soffitto della navata nord è chiusa da un muro trasversale che prosegue la linea dell’arco trionfale; il muro è costruito in opus listatum con modulo m 0,20 per due corsi di mattoni e uno di tufelli; al centro di questo muro trasversale troviamo tracce di un’apertura ad arco, larga m 1,50, in cui gli intradossi si alzano a un’altezza di m 10,70 sopra il livello pavimentale della navata centrale. L’arco è costituito da bipedali lunghi m 0,60 disposti in modo accurato e radiale.
L’arcata è chiusa con un timpano in muratura quattrocentesca; l’arco si trova ora a livello poco più basso rispetto a quello del tetto, ma sappiamo che il tetto della navata laterale era in origine più basso, come risulta dal livello dei davanzali della finestra nella navata centrale. Questa apertura deve essere stata, in origine, una finestra sopra il tetto della navata centrale. A sud dell’abside, il muro corrispondente mostra tracce di un’altra finestra eliminata, che si apriva proprio nello stesso punto. Come nella sua corrispondente a nord, la muratura in opus listatum della parte sud si erge alta e sormonta l’inizio meridionale dell’abside e il suo tetto, prima di troncarsi improvvisamente. L’abside è costruita in opus listatum per due corsi di mattoni e uno di tufelli. L’intera costruzione dell’arco dell’abside è di muratura senza opus listatum e richiama quella del muro sopraelevato della navata centrale. Senza dubbio l’arco non è più quello originale e sembra essere stato costruito, insieme con il catino dell’abside, in una posizione più bassa dell’arco dell’abside e leggermente più a ovest. Problemi riguardanti le datazioni si hanno anche circa la catacomba presente sotto la chiesa. Quest’area sepolcrale sembra essere stata aperta all’inizio del II secolo, ma vi si seppellì con continuità fino al primo quarto del VI secolo. Il sepolcreto sub divo, rinvenuto sotto l’anticortile e la parte frontale della chiesa, risale a un periodo compreso tra il I e il II secolo d.C.: trasformato dall’uso pagano a quello cristiano, continuò a essere usato fino all’assedio gotico e forse dopo. Molto probabilmente alcuni mausolei e una cappella matriarcale sono stati costruiti nel cimitero durante il IV e V secolo, ma nessun edificio chiesastico è ricordato prima di quello eretto da papa Simmaco. Restano tuttavia sconosciute misure e pianta di questa primitiva chiesa, ne possiamo spiegare il significato della frase di Onorio I secondo cui la vecchia basilica fu costruita “extra corpus martyris”. Considerate le dimensioni ridotte dell’arco d’argento, offerto alla chiesa dal suo fondatore, si ritiene che dovesse trattarsi di un piccolo edificio. Ne fa pensare a una costruzione più grande Gregorio di Tours, quando parla dell’arco presso la tomba, probabilmente una pergola coperta d’argento, sotto cui era un piccolo gruppo di cantori.
Anche la presenza, nel 521, di un semplice “prepositus Sancii Panchrati” fa pensare a una chiesa di minore importanza, come pure la scarsità del servizio verso la fine del VI secolo. In ogni caso, non siamo in grado di distinguere una qualsiasi parte dell’edificio di Simmaco nella chiesa attuale, al quale certamente non possono essere attribuite le navate della basilica odierna. I soli elementi, che potrebbero essere resti della chiesa di Simmaco, sono le sottobasi del VI secolo, che sormontano le colonne fiancheggianti il vano presbiteriale. I resti paleocristiani della basilica di San Pancrazio appartengono a una costruzione uniforme, datata tra il 625 e il 638, dall’iscrizione dedicatoria di Onorio I, da un passo della sua biografia e dall’epitome “de locis sanctorum” . La tomba di San Pancrazio era evidentemente cresciuta per importanza, dalla metà del VI secolo. Un gran numero di epitaffi, precedentemente riutilizzati nel pavimento della chiesa e provenienti dalla catacomba o dal cimitero all’aperto, appartengono, infatti, al VI secolo e un monastero era stato aggiunto al luogo. Poiché la chiesa di Simmaco era insufficiente, Onorio I costruì la nuova grande basilica. Lo stile della muratura e l’uso dei pulvini trova il miglior conforto con Sant’Agnese fuori le mura (un’altra chiesa costruita da Onorio), mentre l’inserzione di una cripta semianulare imita la costruzione, a opera di Gregorio I, di una cripta, esattamente di questo tipo, in San Pietro (590-604). Il rifacimento del XVII secolo, che comprende la riapertura delle navate laterali e del transetto, la costruzione dei pilastri della navata centrale e la decorazione dell’intero edificio è associata alle attività dei titolari, Ludovico e Cosmo de Torres e dei loro successori sotto il pontificato di Alessandro VII. Per pianta e dimensioni, quindi, San Pancrazio rappresenta un ritorno o una reviviscenza di modelli cristiani più antichi, del IV o V secolo esistenti a Roma.
Tratto da: La Basilica di San Pancrazio, La Scuola Adotta un Monumento
(Liceo Classico “Istituto Suore di S. Giuseppe)
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