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Ben presto i fedeli, a garanzia della loro salvezza eterna, desiderarono di essere posti, al momento della loro morte, nei pressi del sepolcro del giovane martire che aveva dato la vita per la fede e sicuramente godeva della visione eterna di Dio, essendo a lui congiunto per il premio celeste. Avvenne così che il cimitero in cui fu sepolto, detto ’di Calepodio’, che accoglieva già molti corpi di santi, cambiò nome e prese quello di ’Catacombe di san Pancrazio’ e come tale fu conosciuto nelle epoche successive. Antonio Bosio, primo esploratore delle catacombe romane che nel 1600 visitò e descrisse i cimiteri sotterranei fino ad allora trascurati e caduti in oblio e fece grandi ricerche agiografiche, nella sua importante opera Roma sotterranea nomina i santi che avevano sepoltura nel cimitero di Calepodio: S. Giuliano senatore, S. Antonino M., il Pontefice S. Callisto (poi traslato a s. Maria in Trastevere), S. Privato, S. Palmazio insieme alla moglie, ai figli e a 42 servi, S. Simplicio con la moglie e 78 servi, S.Felice con la moglie Blanda, tutti battezzati dal papa S. Callisto e ricordati dal Martirologio il 10 maggio; i santi Vittore e Corona, ricordati il 14 maggio; S. Pancrazio vescovo di Taormina, ricordato al 3 di aprile.
Le catacombe di s. Pancrazio furono oggetto di interesse e di devozione: nel medioevo erano frequentate e visitate dai fedeli insieme a quelle di s. Callisto, S. Sebastiano, s. Lorenzo, s. Valentino. Subirono anche gravi devastazioni, giungendo perfino ad essere considerate cave per materiali edili: non è raro trovare sul pavimento di alcune antiche basiliche lastre sepolcrali prese dalle catacombe le quali fungevano da chiusura dei loculi scavati nel tufo. Già allora papa Damaso, proprio per evitare profanazioni, scavi, o anche eccessi di devozione di fedeli che andavano senza permesso a prelevare reliquie, fece riempire di terra gli accessi delle Catacombe romane.
Per conoscere lo stato di queste grandi catacombe nel 1600 ascoltiamo ancora la testimonianza di Antonio Bosio: “dalli soprannumerati in poi non habbiamo memoria d’altri Santi seppelliti nel Cimitero di Calepodio; se bene non è dubbio, che debbe esser ripieno d’altri innumerabili, per l’infinito numero di Martiri, che si fecero poi; de’ quali è forza che tutti i sacri Cimiterij si riempissero; e questo particolarmente, che appare esser stato molto celebre, e ampio; percioche havendolo noi più volte visitato, e essendo in esso penetrati, non solo per le bocche, per le quali con molti scalini si descende dalla Chiesa di S.Pancratio; ma per altri aditi, ancora, scoperti in diversi tempi nelle circonvicine Vigne; e dalle parti, per le quali habbiamo potuto camminare; e dall’infinite strade, che abbiamo vedute serrate, e ripiene di terra, habbiamo conietturato, che doveva esser questo sacro Cimiterio di tal grandezza, che fusse capace di numero infinito di corpi. (…) Ha questo Cimiterio patito l’influsso de gl’altri; poiché si trova tutto distrutto, rovinato, guasto, e affatto spogliato de gli ornamenti suoi; di modo, che (con tutta la diligenza da noi usata) non habbiamo potuto trovare in esso pittura, ne memoria alcuna notabile; essendo tutte le sepolture aperte, senza Iscrizioni, e Epitaffi; se bene, dove è occorso levar la terra dalle strade ripiene, si sono ritrovate alcuni pochi marmi con Iscrizioni, di tempi però bassi; come si raccoglie dalli Consolati, e da’ rozzi caratteri loro; da’ quali si argomenta, che cessate le persecotioni perseverarono gli antichi Christiani di seppellirsi in esso”
(Bosio, Roma sotterranea).
Anche l’Abate Bartolomeo Piazza, nella sua importantissima opera Gerarchia Cardinalizia, descrive l’aspetto delle catacombe sul finire del 1600: “Questo celebre Cimiterio fu ripieno di gran numero de’ Santi Martiri, girando con diversi diverticoli per tutte le vigne circonvicine, e dalle parti di esso ben considerate, si è cavato, che fosse molto ampio, e capace. La sua fortuna è somigliante a quella di tutti gli altri Cimiterj. E’ scavato molti piedi sotto terra, nel tufo, con moltissimi raggiri larghi, ed alti quanto un huomo commodamente vi possa camminare in piedi. Da ogni parte vi sono sepoltura scavate, una sopra l’altra lunghe alla misura di un huomo o più, o meno, secondo la diversità dell’età, ed in molti luoghi vi sono alcuni piccoli Cubicoli, in un luogo de’ quali sorge una vena di limpidissima acqua, la quale ne’ tempi delle persecuzioni doveva servire a’ gloriosi Martiri che quivi stavano nascosti, non tanto per bere, quanto per uso del battesimo, che però la dett’acqua da’ Fedeli con gran divozione si suole oggidì ancora gustare. Questi furono i Palazzi, questi le Sale, nelle quali quegli antichi Cristiani ne’ tempi delle persecuzioni si riducevano. Qui le orazioni, qui le vigilie, qui le Sagre Stazioni celebravano, qui abitò nascosto S. Callisto, qui dimorò fuggiasco S. Giulio Papa, qui riposarono quei Santi Corpi, e qui così sagre memorie del primitivo fervore della Fede di quelle Anime Sante invitano ad imitarli con l’opere, ed a venerarli, ed invocarli col cuore.”
Le catacombe dunque lungo i secoli subirono purtroppo gravi devastazioni ed oggi ciò che rimane di quelle di s. Pancrazio è ben poco.
Dice l’Armellini: “non meno grande è la devastazione sofferta da quella nobilissima necropoli, spogliata di tutte le sue iscrizioni e d’ogni altro ornamento, e le cui medesime gallerie presentano l’aspetto d’informi e paurose grotte“.
(Armellini, Le chiese di Roma).
Per lo più inesplorate, sono formate da tre zone principali:
la prima è situata dietro l’abside della basilica;
alla seconda si scende dall’interno della basilica ed è quella aperta alle visite;
la terza si estende sotto il convento da cui anche si accede.
Alla zona del martirio, la seconda, si accede scendendo per alcune scalette dall’interno della basilica; dopo qualche metro di gallerie con loculi scavati nel tufo ci si trova in un ambiente più grande (cubicolo di Botrus) con diversi loculi per la sepoltura; procedendo attraverso brevi gallerie anch’esse con cubicoli, si giunge al cubicolo di S. Sofia e poi a quello di S. Felice.
Tratto da: S. Pancrazio, martire romano del IV secolo
(Don Roberto Leoni, Roma 1999)
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